Era notte, una notte stellata come solo il cielo d’estate sa essere e io ero immersa nel silenzio del mio io ad ascoltare il mare.

Accanto sedeva un’amica lontana, con la quale dividevo ricordi d’infanzia; sorridevamo per ricordi di antiche risate, mentre entrambe cercavamo di scoprire qualche stella cadente.

Ma le stelle cadono solo quando non le aspetti, un po’ come tutte le cose belle, che quando cerchi distruggi, ma se pazienti e non pretendi ecco arrivare.

Io speravo di vederne cadere almeno una, perché vedere una stella tuffarsi nel mare, è un segno tangibile del collegamento tra la realtà e il sogno, tra l’irreale e il materiale.

Io aspettavo, aspettavo, ma sembrava proprio mi distraessi nell’attimo giusto; c’erano amici che ne avevano già viste 10-11 e io, neanche una.

Provai quindi ad abbassare lo sguardo a porlo all’orizzonte, verso le lampare che fiocamente intravedevo all’orizzonte.

Quasi per caso fui attratta da una lampara in particolare, più debole delle altre, ma più bianca.

La fissai per un istante e senza frapporre domande fra il pensiero e l’azione, iniziai a camminarle incontro.

Attraversai buona parte della spiaggia e poi entrai in mare; che strano, vedevo una passatoia compormisi innanzi e l’acqua reggere il mio peso senza problema.

Chissà cosa mi attraeva di quella luce, forse mi ero addormentata, non so più, ma piano piano le fui accanto e vidi un uomo. Aveva un sorriso dolce, i capelli bianchi e grosse mani abituate al lavoro.

Mi guardò, ma forse non mi vide, perché tornò nel silenzio, nei suoi pensieri.

Io non capivo, non sapevo, non fiatavo, anche se avevo una gran voglia di parlare.

Intuivo che quella luce non era normale , sapevo che quell’uomo era speciale, mi avrebbe ascoltato come nessuno, era l’unico capace di far sentire ciascuno unico, irripetibile e nello stesso tempo di infondere serenità.

Chissà quante persone avrebbero voluto essere al mio posto, chissà in quanti sogni avevo cercato un interlocutore come lui.

Adesso che avevo tutto questo, non sapevo cosa dire, non sapevo da dove iniziare, tutto era irreale e io perdevo preziosi secondi a muovere il mio impacciato corpo. Come un attore alle prime armi che tenta di far uscire il senso ad ogni suo movimento.

Non riuscendo a parlare provai allora ad ascoltare e mi accorsi, dopo un attimo di profonda concentrazione, di una strana musica quasi medioevale che faceva come da sottofondo.

Iniziai a penetrare nel suo silenzio e mi resi conto che era immenso.

In quel silenzio trovai tutto, dai fiori alle nuvole, dalle guerre alle catastrofi naturali.

È così strano trovare tutto nel silenzio, che nessuno ha mai insegnato a capirne il significato.

Io di quell’uomo non ricordo esattamente tutto, ma c’è qualcosa, che si è scritto in me come un sogno, ma che si ingrandisce di giorno in giorno.

Non so come si possa nominare.

Forse saranno stati i suoi occhi profondi come il mare, che avevano catturato completamente il mio modo di fare; ma tornando lentamente verso la spiaggia avevo nel cuore una profonda gratitudine.

Una gratitudine che voleva essere manifestata con l’azione , con l’esempio.

Un vuoto silenzio l’avrebbe inaridito i ricordi, ma la certezza dell’umana grandezza, avrebbe dato potenza al silenzio avrebbe spezzato le catene dell’incomprensione.

Tornai a sedere , nessuno si era accorto del mio viaggio nel tempo, ma io ero cambiata, adesso avevo un gioiello da conservare.

Un gioiello che si moltiplica con il sole del nostro modo di fare.

Domani, anzi già adesso, non cercavo più solo di ridere, di scherzare, avevo un dovere: cercare di far uscire da ogni mio amico, da ogni conoscente, il pezzo più raro del cuore.

Quell’unica parte di noi, per ognuno diversa, che arricchisce il silenzio e vince il dolore.